Oggi ci occupiamo dei genitori in difficoltà dinnanzi a comportamenti o atteggiamenti “complicati” dei figli.

Ancora una volta mi trovo costretto a parlare di confini: una volta era più semplice agire per un genitore dato che, attraverso l’autorità perentoria, pretendeva ubbidienza.

Non c’era bisogno di porsi mille domande sul come parlare, cosa fare, come intervenire per salvaguardare i rapporti con i figli.

Nota bene: ho detto che era più semplice, più definito, non ho detto che era meglio rispetto ad oggi. Era solo più facile perché i confini erano netti e stabiliti in modo chiaro: “io decido e tu fai ciò che ti impongo come genitore”.

Oggi abbiamo l’accortezza di tenere in considerazione i sentimenti dei figli.

I genitori sono in difficoltà perché il vecchio metodo era perfetto per creare dei soldatini ma oggi c’è bisogno di altro, di connettersi con il nostro sentire e di acquisire delle sicurezze.

I genitori sono in difficoltà perché una volta vigeva la legge del più forte e, chi resisteva e sopravviveva, lo era perché aveva superato le avversità. Oggi quell’approccio sarebbe deleterio e creerebbe grossi danni.

Ma, nei genitori in difficoltà, da una parte c’è il vecchio istinto genitoriale che vorrebbe imporre regole, orari, obblighi in modo rigido, rigoroso, con figli ossequiosi che assecondano senza creare problemi e, contemporaneamente i genitori desiderano tenere in considerazione i bisogni emotivi dei figli, il loro bisogno d’amore, di comprensione, e abbiamo il desiderio e la volontà di mantenere un rapporto d’amore ed empatico con i nostri figli.

I genitori in difficoltà  vivono questa lacerazione interiore, tra il volerli obbligare ottenendo una situazione facile di obbidienza, e il volere la loro spontanea collaborazione.

La scelta dei genitori in difficoltà

Se ci pensiamo bene, molti genitori in difficoltà di figli adolescenti è un po’ come se dicessero: “Sei libero di fare come vuoi, facendo ciò che voglio io”, “Sei libero/a di essere come vuoi se collima con il come voglio io”, oppure, come il titolo del bel libro di Matteo Lancini: “Sii te stesso a modo mio”.

I genitori in difficoltà si trovano a scegliere tra l’imporsi in modo totalitario creando un clima di sudditanza attraverso le urla, le pretese e le vecchie frasi “Qui si fa come dico io punto e basta!”, oppure l’aprirsi al meraviglioso mondo dell’accettazione e del compromesso.

Quando si sceglie tra queste 2 opzioni si hanno delle conseguenze: con un metodo si è troppo duri e si rovinano i rapporti arrivando spesso allo scontro, con l’altro metodo si rischia di essere permissivi all’eccesso cedendo ai figli il controllo della situazione.

L’approccio corretto è quello che sa quando mantenere una fermezza e quando concedere una trasgressione.

Ecco perché i genitori sono in difficoltà: oggi, l’approccio che funziona, non ha regole fisse, non è standard, va modulato sul momento in base alle situazioni e agli umori.

I figli collaborano?

Una cliente che fece con me un percorso genitoriale, una volta mi disse: “È un continuo provocare, non ascoltare e procrastinare” ed è spesso vero.

Come prima cosa mi chiedo: siamo sicuri che siano sempre provocatori? Molto spesso ho la sensazione che, ogni volta che non fanno ciò che gli viene chiesto, o non lo fanno come si vorrebbe o nei tempi che noi vorremmo, o se lo fanno ma con espressioni di fastidio, i genitori in difficoltà lo vivono come un affronto personale e i ragazzi appaiono provocatori nei nostri confronti.

Molto spesso, appaiono provocatori perché agiscono secondo modalità e tempi che non coincidono con i nostri.

Sì, non lo fa bene quanto lo faresti tu. Ma lo fa.
Sì, non lo fa subito come vorresti tu. Ma con i suoi tempi, lo fa.
Sì, quando lo fa non sprizza gioia e spirito di collaborazione. Ma lo fa.

Se in tutte queste situazioni, invece di sentirci soddisfatti della loro collaborazione (con le loro modalità e tempi) ci arrabbiamo e li critichiamo, il risultato sarà che anche questa collaborazione verrà meno e la nostra frustrazione genitoriale aumenterà. Se ad agni azione segue una critica, l’istinto porta a non agire più.

Obblighi o chiedi ai tuoi figli?

Quando chiedo “ai tuoi figli gli hai dato un ordine o glielo hai chiesto?” quasi tutti i genitori in difficoltà mi rispondono “io ai miei figli chiedo di fare delle cose ma loro non collaborano e questo mi irrita, mi delude, mi spazientisce, mi manda in bestia”.

Questa risposta, che è la più comune, nasconde un tranello: se tu chiedi ai tuoi figli di fare una cosa, se è una richiesta, se è una domanda e non è un ordine o non è un obbligo, dovresti essere aperta alla possibilità che dicano di no, che si rifiutino, o, che lo svolgano con i loro tempi senza che questo provochi in te irritazione, delusione o rabbia.

Se invece, gli chiedi di fare una cosa, loro tergiversano, e tu te la prendi, allora la tua non era una domanda ma un obbligo, un ordine, una imposizione camuffata da domanda.

I genitori in difficoltà non ordinano più, è brutto dare ordini, è maleducato dare ordini, dà la sensazione di passare dalla parte del torto se si dànno degli ordini perentori ai figli. Quindi, apparentemente, si chiede loro di collaborare senza però tener conto del fatto che alle richieste si può rispondere sì oppure no.

I genitori in difficoltà, dopo aver compreso questo, si chiedono (e questa è la domanda chiave): “Quindi, se i nostri figli non vogliono mai dare una mano, o fare ciò che chiediamo loro di fare, dobbiamo permettere che se ne stiano sempre sul divano a fare come gli pare e noi zitti, e ci deve andare bene così?” Ovviamente no. Il problema è che andrebbe modificata tutta la comunicazione genitoriale.

Ancora una volta i genitori sono in difficoltà perché si trovano a scegliere tra le due vie di fronte a loro: una strada è quella dove tu chiedi e i figli DEVONO eseguire immediatamente e nel migliore dei modi, l’altra strada è dove i figli fanno finta di nulla, posticipano, agiscono con noncuranza e il genitore non interviene, si arrende e lascia perdere.

Come parlare ai figli

Se desideri una collaborazione, inizia con il chiedere se puoi, in quel momento, chiedergli una cosa. Chiedi se è il momento giusto o preferisce più tardi e anticipa che è perché hai bisogno di una cosa.

È un gesto di rispetto nei loro confronti, ed è ben diverso dal giudicare con ostilità, con negatività, il fatto che se ne stiano lì, spaparanzati sul divano immersi nel tablet.

Questo approccio non è accusatorio, non fai trasparire alcuna contrarietà, e non imponi la tua volontà del “tutto e subito” pretendendo che ti diano la loro attenzione immediatamente.

Lascia loro la possibilità di decidere se è il momento buono per ascoltarti oppure no. Questo viene accolto con soddisfazione e consente una maggiore apertura. Se non c’è apertura non c’è neppure ascolto, quindi è un passaggio importante.

Capiterà spesso che, di fronte alla tua frase, ti dicano “Dimmi, che c’è” e sospendano ciò che stanno facendo. Perché potrebbe avvenire? Perché il tuo non è una pretesa, e quindi gli adolescenti hanno la sensazione di poter decidere di ascoltarti, il che li rende più disponibili.

Ovviamente, il tono con cui si domanda se è un buon momento per chiedere una cosa, è un tono amichevole.

I genitori in difficoltà non chiedono se è un buon momento per parlare o, se lo fanno, avviene con tono spazientito e accusatorio.

Tutto qui? No.

Anticipa l’opposizione dei figli

Altro passaggio: quando i figli ti dicono che è il momento buono per parlare, offri loro sincera comprensione anticipando il loro fastidio.

Premetti già che sarà una noia rispetto a quel che stavano facendo.

Puoi dire: “Lo so che quello che sto per chiederti è un po’ una rottura di scatole” oppure “So che sei molto preso e forse non è questo il momento giusto” o anche “so che sarebbe meglio fare qualcosa di più divertente”.

È chiaro che studiare è meno allettante che giocare ai videogames.
È chiaro che chattare con gli amici è più divertente che ordinare la stanza.
È chiaro che stare spaparanzati sul divano è meno impegnativo che andare a buttare la spazzatura.

Di solito, a fronte della loro reazione infastidita, noi genitori reagiamo con altrettanto fastidio, ce la prendiamo, li rimproveriamo di non aver accettato la nostra richiesta con tripudio, di non aver accolto il nostro “invito” pervasi di un euforico desiderio di assecondarci. Ti sembra sensata la nostra aspettativa?

Anticipare che gli costerà un po’ di tempo va bene, premettere che sarà una scocciatura va bene, affermare che comprendiamo che farebbe volentieri a meno di fare quella cosa, è importante per dare comprensione, accettazione e mostrare rispetto per ciò che pensano e provano.

Significa dire “ti capisco” e non è una premessa da poco.

Come chiedere collaborazione ai figli

A questo punto puoi fare la tua richiesta.

Ti ricordo che è una richiesta, non un ordine.

Il tono sarà da richiesta, la postura sarà da richiesta, l’espressione del viso sarà da richiesta e nelle nostre parole c’è la frase “Avrei bisogno che…” (a volte dico “quando puoi, avrei bisogno che tu…”). Talvolta, se non posso aspettare più di tanto, non dico “quando puoi” ma dico “avrei bisogno che tu, adesso…”. Esprimo un bisogno, una mia necessità.

Poi chiedo una conferma “lo puoi fare?” e attendo la risposta ben consapevole che la mia è una richiesta e se mi dice “No, ora non posso” non mi devo mostrare stizzito, infastidito.

Non devo mostrarmi contrariato perché, se avessi voluto un sì certo, non avrei dovuto fare alcuna richiesta ma impormi con autorità.

Se ricevo come risposta “ok, lo faccio” ringrazio: “Ah, perfetto, ti ringrazio molto”.

Quando si comunica, una parola in più o in meno, cambia molto. Chiedo “Lo puoi fare?” che non è uguale a “Lo faresti per il tuo papà?” oppure “lo fai se mi vuoi bene?”. Queste sono frasi che in sé hanno un ricatto emotivo (il sotto-messaggio è: “Ma come? Non fai questa cosa per il tuo papà che tanto ti vuole bene? Ma allora sei una brutta persona! Sei ingrato/a”).

Atteggiamento provocatorio dei figli

Concludo con il dire: una delle cose che mettono più in crisi i genitori in difficoltà è l’atteggiamento provocatorio che i figli potrebbero avere nel rispondere.

Per mia esperienza, molti considerano “provocatorio” qualunque risposta contraria dei figli a ciò che propone il genitore.

Questo atteggiamento genitoriale crea un circolo vizioso: tu cerchi di imporre loro delle azioni, i figli reagiscono con fastidio, il genitore accoglie con fastidio la loro reazione e sale la rabbia o la delusione e loro si sentono accusati il che li rende ancora meno disponibili al dialogo.

Questo è ciò che avviene in quasi tutte le case dove i genitori hanno difficoltà di relazione con i propri figli.

Qual è il messaggio dietro la provocazione?

Se avviene, se sono più o meno provocatori nei tuoi confronti, ti stanno comunicando qualcosa, un loro bisogno, un bisogno che stanno esprimendo in quel modo li.

È chiaro che quando rispondono in modo provocatorio la loro è una modalità sbagliata, ma la motivazione che c’è sotto è reale e va considerata.

Se vogliamo che le cose cambino, dobbiamo cambiare noi, il nostro approccio, per dare ai figli la rassicurazione che il loro bisogno recondito è meritevole di considerazione e che lo stiamo considerando (non è detto che lo soddisferemo ma ci accorgiamo che c’è).

Solo così puoi scardinare il bisogno dei figli di reagire in modo provocatorio.

Se, al contrario, decidi di fare muro contro muro, se scegli di reagire imponendoti, imponendo la tua autorità, è molto probabile che otterrai reazioni di maggiore ribellione e poi, la situazione, finirà con lo sfuggire di mano.

Imporsi dà risultati immediati ma potrebbe bruciarti il futuro. Un approccio più empatico richiede più tempo ma crea benefici a lungo termine.

 

Fabio Salomoni