È di pochi giorni fa la notizia di un genitore che ha colpito con dei pugni l’allenatore di minibasket del proprio figlio. Notizie di genitori che picchiano gli allenatori, sono molto frequenti, ormai.
Ho allenato per molti anni, non ho mai assistito a scene di questo tipo, ma genitori che superavano il limite della decenza e dell’educazione, erano molto più comuni di quanto si possa immaginare.
La lettura di questo episodio dal punto di vista della deprecabile violenza è sin troppo facile, anche se doverosa ed ineccepibile.
Quindi ci tengo a sottolineare alcuni aspetti a margine, ma che ritengo importanti.
Il titolo del corriere che riporta questo aneddoto (del 17/11/19) afferma che l’allenatore è poi stato abbracciato dal figlio dell’aggressore.
Bene, ci tengo a dire che quel bambino è un eroico ribelle.
Quel bambino di 9-10 anni ha dovuto improvvisamente scegliere se stare con il padre, colui che lo cresce e nutre, colui che quotidianamente gli mostra la via per diventare adulto, oppure stare con ciò che riteneva giusto e quindi portare sostegno all’aggredito andando, di fatto, contro il proprio padre.
Lo trovo un grande gesto che molti adulti non sono in grado di fare: tra ciò che conviene e ciò che è giusto, chiudono gli occhi, tappano il naso, e accantonano la giustizia.
L’altro aspetto importante è il segnale che questo genitore ha dato al proprio figlio.
Ancora una volta è fin troppo facile riconoscere il pessimo esempio esercitato nei confronti del bimbo.
Se noi siamo esempio, se i nostri figli ci guardano, osservano, imparano, cosa dovrebbe imparare questo piccolo cestista?
I casi di genitori che picchiano gli allenatori sono molto frequenti.
Attenzione a non incorniciare questo episodio nella sua unicità: gli esempi di aggressione e di violenza non vengono dati ai figli solo quando si prende a pugni qualcuno.
Se questo è un caso eclatante, occorre fare un mea culpa e rendersi conto che molto spesso quella risposta al figlio o alla partner, era carico di violenza, nelle parole usate e nel tono con cui si sono dette.
Violenza è violenza e attenzione a dire che ce n’è una di serie A ed una di serie B.
Inoltre quel genitore è intervenuto per pretendere ragione nei confronti del figlio che, a suo dire, stava subendo una ingiustizia, magari giocando poco, o in un ruolo non suo.
Qual è il messaggio che si invia al figlio in questo caso?
“Tu non sei in grado di difenderti, tu non sai far valere le tue ragioni e quindi intervengo io in tua vece, perché tu non sei abbastanza!”.
Quindi con l’intento di intervenire a difesa del figlio, lo ha appena colpito nell’autostima.
Se è vero che in alcuni casi l’intervento genitoriale è importante e indispensabile, è altrettanto doveroso insegnare ai nostri figli, che se qualcosa non va lo devono affrontare in prima persona: “Parla con l’allenatore” “Parla con il tuo amico” “Parla con la maestra”.
Ma è difficile dare ai figli strumenti di dialogo, di controllo degli stati d’animo, di gestione della rabbia, di apertura mentale, se i genitori non posseggono quegli stessi strumenti.
Cosa occorrerebbe fare?
Metterci in discussione, scoprire le nostre lacune, e lavorare su di noi per colmarle.
Possiamo mentirci fin che vogliamo, ma in gran parte, i figli sono ciò che sono perché hanno i genitori che hanno.
Fabio Salomoni